Martedì 4 novembre, nella Curia generalizia dei Gesuiti a due passi dal Vaticano, il cardinale Víctor Manuel Fernández presenterà Mater Populi Fidelis, nuova nota dottrinale sulla cooperazione di Maria all’opera della salvezza. Il testo, atteso e delicato, si colloca nella scia tracciata dal Concilio Vaticano II e dalla sua Costituzione dogmatica Lumen gentium, che nel capitolo VIII offre la sintesi più autorevole della presenza di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.
Per comprendere la via autentica della mariologia, vale la pena ricordare la figura luminosa di san Massimiliano Maria Kolbe. Nessuno ha amato l’Immacolata con maggiore intensità speculativa e ardore apostolico, eppure mai egli fece della propria visione mariana un campo di battaglia o di tensione ecclesiale.
Kolbe intuì – con quella finezza teologica francescano-scotista che unisce intelletto e amore – che la grandezza di Maria è tutta nella sua trasparenza a Cristo: la creatura in cui il Redentore ha potuto operare senza ostacolo alcuno. La sua intuizione sulla “quasi-identità” tra l’Immacolata e lo Spirito Santo, spesso citata e talvolta incompresa, non fu mai brandita come definizione da imporre, ma come contemplazione che porta all’adorazione, non all’affermazione di sé.
Per Kolbe, Maria non è tema di disputa, ma spazio teologico di unità, dove la mente adora e il cuore arde. La sua “milizia” mariana non ha nulla della logica di contrapposizione: era spiritualità di offerta, di obbedienza, di martirio, fino al dono totale della vita ad Auschwitz — in odium caritatis.
La sua formula fondamentale non è uno slogan dottrinale, ma un atto di annientamento in Cristo:
Totus Tuus Immaculata, per Te ad Jesum. (Tutto tuo, o Immacolata, per Te a Gesù).
Qui non vi è rivendicazione, ma esonero dell’io, la stessa kenosi che risplende nella Vergine. Kolbe non chiede a Maria di essere riconosciuta; chiede a sé stesso e al mondo di lasciarsi consegnare a Cristo attraverso Lei. In lui la mariologia diventa evangelizzazione, bellezza, creatività missionaria, capacità di parlare alla modernità senza paura né arroganza.
La sua eredità dice alla Chiesa di oggi che la vera devozione mariana non urla: illumina; non rivendica: genera; non divide: abbraccia; non pretende titoli: suscita santi. È la via pulchritudinis e humilitatis, ben lontana da derive militanti o autoreferenziali.
Se Maria è “tutta relativa a Cristo”, Kolbe è il maestro che mostra come questa verità si incarni nella vita concreta del cristiano: teologia inginocchiata, missione genuflessa davanti ai fratelli, mente che si fa cuore e cuore che si fa dono.




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