Nel grembo della vita. La Festa della Mamma tra cielo e terra

Oggi è la Festa della Mamma, un giorno che non è solo fatto di fiori e auguri, ma che ci invita a contemplare il mistero profondo della maternità: quella di Dio, che è Padre e Madre; quella di Maria, che ha generato il Salvatore e continua a generare speranza; quella della Chiesa, che ci accoglie come figli; e quella di ogni donna che, con o senza figli, vive il dono di amare, accogliere e custodire la vita.

C’è un volto della maternità che sfugge alle categorie umane e che abbraccia l’inizio e la fine di ogni cosa. È il volto della maternità divina.

Sì, Dio è Padre, ma anche Madre.

Non lo dice un teologo visionario o una corrente audace, ma san Giovanni Paolo II, che nella Mulieris dignitatemscriveva:

“In Dio c’è il principio e il modello originario di ogni paternità e maternità.”

E aggiungeva:

“Dio è amore materno e paterno. È tenerezza e forza. È principio e accoglienza.”

Siamo nati da un sogno di Dio che ci ha pensati con viscere di misericordia, e ha voluto che ogni creatura umana venisse al mondo attraverso il corpo e l’amore di una madre.

Ogni maternità sulla terra – accolta o ferita, realizzata o solo desiderata – è un eco lontana di quel grembo eterno che è Dio.

Ma Dio, nella sua tenerezza infinita, ha voluto farsi Figlio.

Ha scelto di passare per il grembo di una donna, Maria di Nazaret, che nel suo “Eccomi” ha dato corpo alla salvezza.

Quando il Concilio di Efeso nel 431 proclamò Maria TheotókosMadre di Dio, la Chiesa riconobbe che la sua fede si radicava in un grembo. E che ogni maternità, da quella divina a quella umana, è luogo sacro di alleanza tra cielo e terra.

Maria non fu solo madre a Betlemme. Sul Calvario, in piedi accanto alla croce, divenne madre dell’umanità intera.

“Donna, ecco tuo figlio”, disse Gesù.

E da allora la Chiesa guarda a lei come madre, maestra e memoria viva di tutte le madri.

Ogni donna, anche se non ha generato figli nel corpo, può riconoscersi in Maria, perché la maternità è prima di tutto fecondità del cuore.

Una donna è madre quando sa amare, accogliere, proteggere, anche tra le ferite, anche senza ricevere nulla in cambio.

Questa dimensione spirituale e universale della maternità ha una lunga storia, che attraversa culture, fedi e secoli.

Nel mondo greco-romano, si celebravano le divinità della fertilità con riti propiziatori legati alla terra e al ciclo delle stagioni.

Nel Medioevo cristiano, l’attenzione si spostò su Maria: la sua festa era la festa di tutte le madri, anche se nessuna riceveva regali o fiori.

La Festa della Mamma, come la conosciamo oggi, nasce tra l’Ottocento e il Novecento, grazie ad Ann Reeves Jarvis, pacifista americana che, alla fine della guerra civile, organizzava incontri tra madri del Nord e del Sud per guarire le ferite del conflitto.

Sua figlia, Anna Jarvis, ne raccolse l’eredità, finché nel 1914 il presidente Woodrow Wilson ufficializzò la ricorrenza, fissandola alla seconda domenica di maggio, data legata alla morte della madre.

In Italia, arrivò nel 1933 con finalità propagandistiche sotto il fascismo, per poi risorgere nella sua bellezza vera negli anni ’50: da un lato, con una celebrazione religiosa e cristiana nella diocesi di Assisi; dall’altro, con un’iniziativa commerciale dei fiorai liguri. Entrambe nel mese di maggio, mese mariano, mese della luce, dei fiori, della vita che rinasce.

Ma oggi, più che mai, questa festa ci chiede di andare oltre l’spetto esteriore.

Non è solo il giorno in cui si regalano rose o si fanno telefonate.

È il giorno della gratitudine profonda per chi ci ha generati, e per tutte le donne che continuano a generare amore nella storia.

Madri che svegliano i figli la mattina e li attendono la notte.

Madri che pregano in silenzio per un figlio che ha preso strade sbagliate.

Madri che piangono il lutto di una culla vuota.

donne senza figli, che ogni giorno educano, accolgono, guidano, consolano, e si donano come madri silenziose dell’anima.

A tutte loro, oggi la Chiesa dice:

“Tu sei madre. Anche se nessuno lo riconosce. Anche se nessuno ti ha mai detto ‘grazie’. Anche se la tua maternità è fatta solo di sguardi, carezze, dedizione. Tu sei madre, e il Cielo lo sa.”

La maternità non è un ruolo. È un modo di stare nel mondo.

La madre non è solo colei che partorisce, ma colei che genera vita anche dove tutto sembra sterile.

Per questo la Chiesa stessa è madre: perché genera alla fede, accompagna nel cammino, consola nel dolore, nutre nella speranza.

E in questo tempo così segnato da solitudini e ferite, abbiamo tutti bisogno di madri.

Abbiamo bisogno della Madre del Cielo, che ci insegni a tenere in braccio la vita.

Abbiamo bisogno di donne che accolgano, di uomini che imparino a onorare la maternità come dono e non come possesso.

La Festa della Mamma è dunque un invito.

A ringraziare.

A custodire.

A riscoprire quella maternità che non invecchia mai: quella che asciuga le lacrime, ascolta nel silenzio, resiste nella notte, crede nella risurrezione.

Perché il cuore del mondo – ancora oggi – batte nel grembo di una madre.

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