In un’Italia lacerata da guerre e crisi morali, San Bernardino da Siena trasformò le piazze in cattedre e la parola in fuoco. Predicatore instancabile, comunicava con la voce, il corpo e un semplice segno: il Nome di Gesù. La sua forza non stava solo nei contenuti, ma nella capacità di incarnare il Vangelo in un linguaggio vivo, popolare, profetico. Oggi, nell’era della comunicazione liquida, il suo stile evangelico torna a interrogarci: può ancora una parola, se vera, cambiare il mondo?
Nel tempo della confusione, c’è chi urla e chi persuade. Chi grida per avere ragione, e chi parla per guarire. San Bernardino da Siena, frate mendicante con il volto scavato dal digiuno e lo sguardo acceso dal Vangelo, sapeva bene da che parte stare. Non era un uomo da salotti, ma da piazze. Non inseguiva il consenso, ma la conversione. E la sua parola non era retorica: era fuoco.
Nel secolo XV, quando l’Italia era terra di mercanti, cortigiani e guerre fratricide, Bernardino camminava a piedi, da città a città, con una tavoletta in mano: vi era inciso il Nome di Gesù, IHS. Un simbolo che oggi diremmo “virale”, e che allora era già rivoluzionario. Non bastava ascoltare: occorreva vedere. Non bastava capire: si doveva credere. Il Nome, proclamato sulle labbra e mostrato davanti agli occhi, diventava sintesi visiva di una teologia fatta per il cuore del popolo.
E il popolo lo capiva. Perché Bernardino parlava come si mangia. Usava proverbi, storielle, gesti. Non aveva paura di ridere, né di far piangere. Né di dire le cose come stavano. Invettive contro l’usura, prediche contro la vanità, affondi morali che oggi farebbero alzare più di un sopracciglio. Ma nessuno gli imputava arroganza. Perché non parlava da sopra, ma da dentro. Dentro il dolore della gente, dentro la polvere delle strade, dentro il bisogno di una fede che non fosse privilegio ma respiro.
Fu il primo, si potrebbe dire, a capire che il linguaggio è liturgia, che la comunicazione è sacramento della presenza. Quando parlava, il corpo stesso era messaggio: le mani, lo sguardo, i silenzi. Era un’arte incarnata. Ma non un’artefazione. Tutto era verità. Tutto era Vangelo.
In un tempo come il nostro, dove le parole galleggiano leggere e inconsistenti, e ogni slogan si consuma in un clic, San Bernardino ci interroga. Ci chiede se crediamo davvero che la Parola possa ancora cambiare il mondo. E ci insegna che non si tratta solo di cosa dire, ma come e chi lo dice. La credibilità non è un algoritmo. È una vita che brucia per ciò che annuncia.
E quel Nome, inciso nella tavoletta, non è solo il cuore della sua predicazione. È la chiave di tutto: perché solo chi mette Gesù al centro della parola può parlare con autorità e non per mestiere.
San Bernardino, uomo del Quattrocento, ci ricorda che comunicare non è solo trasmettere. È salvare. Se la parola non salva, è rumore. Se salva, è fuoco. E lui parlava come chi ha camminato nella brace del Vangelo.
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