Nel Giubileo dei sacerdoti, la profezia di un prete povero, fragile e vero nel romanzo di Greene
Nel cuore del Giubileo dedicato a vescovi, sacerdoti e seminaristi, Il potere e la gloria di Graham Greene — ripubblicato con una densa prefazione di don Luigi Ciotti — si rivela più che un romanzo: è un’esegesi incarnata del Vangelo vissuto fino ai suoi margini estremi. Ed è anche un appello. Non tanto alla perfezione clericale, quanto a un’esposizione radicale del proprio ministero come luogo drammatico e salvifico di fede.
Non è un caso che a difendere questo libro, negli anni Cinquanta, fu il futuro Paolo VI. Il suo gesto, più che una protezione ecclesiastica, fu una dichiarazione di visione: la Chiesa del Concilio che Montini avrebbe accompagnato fino alle soglie della modernità doveva avere il coraggio di guardare non solo al dogma, ma alla vita. Al reale. A un clero non idealizzato, ma umanizzato. A un prete che, come nel caso di Greene, “scappa” non solo dai persecutori, ma dalla propria coscienza.
Una Chiesa che fugge dal potere per abitare la fragilità
Greene racconta un sacerdote braccato dalla polizia anticattolica nel Messico degli anni Trenta. Ma ciò che più colpisce non è la persecuzione esterna, bensì quella interna: il tormento della coscienza, il peso dei propri peccati, il dubbio di non valere la missione ricevuta. È l’icona potente di ciò che don Luigi Ciotti chiama coscienza inquieta, cifra autentica della fede vera.
Nel tempo del Giubileo, mentre si celebra il mistero del sacerdozio, questo romanzo restituisce la sua verità: non siamo preti per la nostra coerenza, ma per la grazia che continua a operare attraverso la nostra incoerenza. Il potere e la gloria non sono nostri, sono di Dio. E il sacerdote non li possiede, li serve. A volte con coraggio, a volte tremando. Ma sempre in piedi, nella storia.
Fede come etica incarnata, non come dottrina astratta
Don Ciotti, nella sua prefazione, lo afferma con chiarezza: la fede vera non si misura con il rigore dogmatico, ma con la passione etica. Con la capacità di incarnarsi nelle scelte quotidiane, di abbracciare le contraddizioni, di rimanere dentro la storia senza pretese di superiorità. È la fede che Papa Francesco propone da anni: una Chiesa accidentata piuttosto che perfetta, ferita piuttosto che chiusa, libera piuttosto che clericale. Leone XIV conferma questa consapevolezza con l’invito pressante rivolto ai chierici e seminaristi di farsi aiutare nel loro cammino esistenziale e ministeriale: “nessuno può farcela da solo”.
Il protagonista di Greene non è un modello da imitare, ma un uomo da ascoltare. È il riflesso di tante vite sacerdotali silenziose che, pur segnate dalla fragilità, non cessano di portare la tenerezza di Dio nel mondo. Anche — e soprattutto — nelle periferie dell’esistenza.
Una spiritualità del dubbio e della compassione
C’è una frase nel libro che sembra condensare tutta la teologia del Vaticano II e del pontificato attuale: «Non era che un delinquente in mezzo a un branco di delinquenti: questo gli dava un senso di fratellanza quale mai aveva sperimentato ai vecchi tempi». È una svolta. Non è più la sacralità separata che garantisce la comunione, ma la comune fragilità che apre alla grazia.
E quando il sacerdote, pur sapendo di essere tradito, sceglie di andare a confessare un moribondo, non compie un gesto eroico, ma profondamente cristiano. È la logica del “lasciare le novantanove” per l’unico peccatore. È l’epifania della misericordia che salva nonostante tutto, anche senza lieto fine.
Un libro da mettere in mano ai futuri preti
Alla luce della prefazione di don Luigi Ciotti, Il potere e la gloria non è solo un grande romanzo. È una via crucis dell’anima sacerdotale. È un grido e un sussurro. È una parabola moderna sul fatto che la grazia può sgorgare anche dalle crepe. Che il peccato non ha l’ultima parola. Che la Chiesa non è un’arca per giusti, ma un ospedale da campo, come amava dire Papa Francesco.
Nel Giubileo di chi ha ricevuto il sacramento dell’Ordine, questo libro può essere una lettura iniziatica. Per dire ai seminaristi: non sarete perfetti, ma siate veri. Per ricordare ai vescovi: non si guida una Chiesa senza camminare accanto agli ultimi. E ai sacerdoti: non abbiate paura della vostra umanità, è il luogo dove Dio si è fatto carne.
Graham Greene, attraverso un prete sconfitto e insieme fedele, ci ricorda che il Vangelo non è per i forti, ma per chi ama anche tremando. E che la gloria di Dio non risplende nell’assenza di errori, ma nella presenza ostinata dell’amore.
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