Riscoprire il senso della riverenza eucaristica tra storia, liturgia e pastorale contemporanea
Nell’attuale dibattito cattolico sull’Eucaristia, la questione della modalità di ricezione della Comunione – in mano o sulla lingua, in piedi o in ginocchio – è diventata uno dei temi più discussi e, a volte, divisivi. Ma davvero esiste un “modo migliore” per ricevere il Corpo di Cristo? Cosa dice la storia della Chiesa? E cosa dice oggi il Magistero? Più ancora: quale atteggiamento interiore è richiesto, al di là della postura esterna?
In molte comunità cattoliche, la varietà delle pratiche è visibile ogni domenica: fedeli che ricevono in piedi, altri inginocchiati; alcuni sulle mani, altri sulla lingua. Alcuni sembrano più devoti, altri più abitudinari. Ma la domanda sottesa non è solo rituale: cosa dice di noi e della nostra fede il modo in cui riceviamo l’Eucaristia? E siamo sicuri di saper distinguere ciò che è riverente da ciò che è rigidamente ideologico?
Il dato storico: l’antichità della Comunione in mano
Storicamente, ricevere la Comunione in mano era la norma sia in Oriente che in Occidente per almeno gli otto primi secoli del cristianesimo. Le testimonianze di Padri della Chiesa come san Cirillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo, sant’Agostino, Teodoro di Mopsuestia e altri, mostrano che questa prassi era pienamente accettata e considerata riverente.
San Cirillo, nelle Catechesi mistagogiche, scrive: “Avvicinati non con i palmi distesi o le dita aperte, ma facendo della tua mano sinistra un trono per la destra, che riceve il Re. Ricevi il Corpo di Cristo dicendo: Amen”.
Il gesto è dunque nobile, solenne, carico di significato simbolico. Le mani, lavate e purificate, diventano un altare. L’uomo, fatto a immagine di Dio, è più degno di un calice d’oro, come ricordava san Giovanni Crisostomo. È chiaro che la comunione in mano non è stata introdotta dopo il Concilio Vaticano II, ma piuttosto reintrodotta in continuità con una tradizione patristica ben documentata.
La preoccupazione per i frammenti: ieri e oggi
Una delle obiezioni più comuni alla Comunione in mano è il rischio di dispersione dei frammenti dell’Ostia consacrata. I Padri stessi erano molto attenti a questo aspetto: Origene ammonisce i fedeli a non lasciar cadere nemmeno una briciola. È un’attenzione giusta e doverosa. Tuttavia, oggi la situazione è molto diversa rispetto all’antichità e anche rispetto a qualche decennio fa.
Le ostie moderne, infatti, sono confezionate con maggiore compattezza, con taglio chiuso e senza rifilature grezze, proprio per evitare la perdita di frammenti. I laboratori liturgici certificati usano macchinari ad alta precisione che garantiscono l’integrità delle particole. Questo non elimina del tutto il rischio, ma lo riduce notevolmente rispetto al passato. È un aspetto spesso ignorato nel dibattito.
Il Magistero attuale e l’uso in Italia
Papa Francesco, in un’udienza del 21 marzo 2018, ha ricordato che «la Chiesa desidera vivamente che anche i fedeli ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa; e il segno del banchetto eucaristico si esprime con maggior pienezza se la santa Comunione viene fatta sotto le due specie, pur sapendo che la dottrina cattolica insegna che sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 85; 281-282). Secondo la prassi ecclesiale, il fedele si accosta normalmente all’Eucaristia in forma processionale e si comunica in piedi con devozione, oppure in ginocchio, come stabilito dalla Conferenza Episcopale, ricevendo il sacramento in bocca o, dove è permesso, sulla mano, come preferisce (cfr OGMR, 160-161). Dopo la Comunione, a custodire in cuore il dono ricevuto ci aiuta il silenzio, la preghiera silenziosa. Allungare un po’ quel momento di silenzio, parlando con Gesù nel cuore ci aiuta tanto, come pure cantare un salmo o un inno di lode (cfr OGMR, 88) che ci aiuti a essere con il Signore».
In Italia, la Conferenza Episcopale ha introdotto l’uso della Comunione sulla mano nel 1989, con il documento CEI Nota pastorale sulla Comunione eucaristica nelle mani dei fedeli (n. 23 ottobre 1989), previa autorizzazione della Santa Sede. Da allora, è prassi pienamente legittima.
Il documento CEI sottolinea che «ricevere l’Eucaristia sulle mani non è segno di minore riverenza, ma può diventare occasione per maturare un senso più personale e adulto della partecipazione al sacramento».
Le differenze rituali nelle Chiese orientali
Non tutte le Chiese cattoliche seguono la stessa disciplina. Nelle liturgie bizantine, ad esempio, si pratica da secoli la “Comunione per intinzione”, con l’uso di un cucchiaio liturgico (lavida) che porta sia il Corpo che il Sangue del Signore direttamente nella bocca del fedele. In alcune Chiese orientali si usano ancora oggi teli o cucchiai, per ragioni di tradizione e simbolismo.
La diversità di modalità è espressione della cattolicità della Chiesa, che non è uniformità ma unità nella varietà. Ogni rito ha sviluppato soluzioni coerenti con la propria sensibilità teologica e pastorale.
La postura: in piedi o in ginocchio?
Anche in questo caso non c’è un’unica regola vincolante. Il fedele può comunicarsi in piedi o in ginocchio, secondo quanto stabilito dalla Conferenza Episcopale, ma sempre con riverenza. Il Papa ricorda: «Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza» (OGMR 160).
Inginocchiarsi è un gesto antico, che esprime l’umiltà davanti al mistero. Ma anche stare in piedi, nella tradizione biblica e liturgica, è segno della Risurrezione e della dignità filiale del battezzato. Entrambe le posture sono significative, se vissute con fede.
La vera riverenza: il cuore prima del corpo
Come ricorda la teologa Elizabeth Klein, «la riverenza non si riduce alla postura esterna, ma all’atteggiamento del cuore». Le posture esteriori sono importanti, ma sono vane se non accompagnate da un’interiore disposizione di fede, amore, conversione.
Ricevere la Comunione è un atto di unione con Cristo e con la Chiesa. E questa unione richiede coerenza di vita. Le parole di san Giovanni Crisostomo sono severe ma illuminanti: «Pensa a ciò che ricevi nella tua mano e non alzarla mai per colpire un altro». L’Eucaristia ricevuta sulla mano deve trasformarsi in mani che servono, in gesti di giustizia e carità.
Non giudicare, ma educare
La vera unità eucaristica non consiste nel pensare tutti allo stesso modo, ma nel riconoscere la presenza reale di Cristo e vivere in comunione con Lui e con i fratelli. Giudicare gli altri per come ricevono la Comunione – in ginocchio, in piedi, sulla lingua o in mano – è contrario allo spirito stesso del sacramento.
L’Eucaristia non è solo un “dono da ricevere”, ma una chiamata a vivere secondo il Vangelo. Come affermava Benedetto XVI: «Ciò che conta non è un’idea, ma un incontro con una Persona, Gesù Cristo». È Lui il centro, non la nostra postura.
Verso una mistagogia eucaristica matura
La sfida della pastorale liturgica oggi non è polarizzarsi tra “progressisti” e “tradizionalisti”, ma riscoprire la mistagogia eucaristica: educare alla bellezza del mistero, alla consapevolezza del sacramento, alla coerenza tra culto e vita.
Il Concilio Vaticano II ha chiesto una “partecipazione attiva, piena e consapevole” dei fedeli alla liturgia. Questa partecipazione non si misura in centimetri (mani o lingua) ma in profondità spirituale. Un fedele che riceve l’Eucaristia con devozione, in qualunque modo approvato, onora il Signore.
È tempo di disarmare le mani, per aprirle a Cristo e ai fratelli. È tempo di lasciar cadere le dispute sterili, per alzare lo sguardo al Mistero che salva. È tempo, infine, di educarci e educare a quella riverenza che nasce dall’amore: l’unico “modo migliore” per ricevere il Corpo di Cristo.
Note
- Ordinamento Generale del Messale Romano, nn. 160-161.
- Papa Francesco, Udienza generale, 21 marzo 2018.
- Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale sulla Comunione eucaristica nelle mani dei fedeli, 23 ottobre 1989.
- Catechesi mistagogiche di san Cirillo di Gerusalemme.
- San Giovanni Crisostomo, Omelie su Efesini.
- Elizabeth Klein, Communion in the Hand in Early Christianity, Catholic University of America.
- E. Tornielli, «Comunione sulla mano, il Papa ricorda che si può», Vatican News, 25 marzo 2018.
0 commenti