Quando, nel settembre del 1224, Francesco d’Assisi si ritirò alla Verna per quaranta giorni di digiuno e contemplazione, nessuno poteva immaginare che la sua vita sarebbe stata segnata da un evento unico nella storia della Chiesa. Là, immerso nella preghiera della Passione, gli apparve un serafino crocifisso, e il fuoco di quell’amore lo plasmò così profondamente da imprimere nel suo corpo i segni stessi di Cristo: le stimmate.
I frati testimoniarono che portava nelle mani, nei piedi e nel costato le piaghe del Signore. La Chiesa riconobbe in quel dono un sigillo divino: Francesco non era semplicemente un devoto imitatore, ma un uomo reso immagine viva del Crocifisso. Per questo venne chiamato “alter Christus”.
Le stimmate non vanno lette come un fenomeno miracoloso isolato. Esse appartengono al cuore della spiritualità cristiana: l’unione con Cristo sofferente e glorioso. Nella tradizione, il martirio è la forma più alta di sequela, la piena conformazione al Maestro. Quando non vi è spargimento di sangue, esiste però il martirio “mistico”: un portare in sé, nello spirito e talvolta nel corpo, le sofferenze di Cristo per amore della Chiesa e per la salvezza del mondo. È questo che accadde a Francesco. Le parole di Paolo diventano concrete: “Porto le stigmate di Gesù nel mio corpo”.
Ma c’è un tratto ulteriore che illumina l’esperienza francescana: la sua relazione con Maria. Francesco la chiamava “Avvocata dell’Ordine” e a lei affidava i frati. Maria, ai piedi della croce, visse un martirio interiore senza uguali, unita al Figlio nella sofferenza e nella redenzione. Senza ricevere piaghe esteriori, fu trafitta nell’anima: la sua compassione la rese la prima partecipe del mistero pasquale. Francesco, sulle orme della Madre, è condotto a rivivere in sé la stessa logica: stare con Cristo crocifisso, condividere le sue ferite, offrirsi perché l’amore arrivi a tutti.
In questo senso, le stimmate non sono un culto del dolore. Sono la rivelazione dell’amore che salva. Francesco non cercò la sofferenza, ma l’amore: e l’amore lo condusse fino a lasciarsi segnare dal Crocifisso. È la logica pasquale: la ferita diventa luce, il dolore si trasforma in offerta, la morte si apre alla vita. Così Maria sotto la croce, così Francesco sulla Verna.
Oggi, contemplando le stimmate, non siamo chiamati ad aspettarci segni straordinari, ma a lasciarci assimilare da Cristo fino in fondo. Ogni ferita accolta nell’amore, ogni dolore trasfigurato dalla fede, diventa partecipazione al suo sacrificio. È la via mariana del discepolo: vivere le proprie croci con Lui e come Lei, perché il mondo creda che nulla è più forte della carità.
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