Tra gli episodi più iconici e amati della tradizione francescana, la predicazione di San Francesco agli uccelli occupa un posto privilegiato per la sua immediatezza narrativa e per la ricchezza di significati che ha saputo generare lungo i secoli, tanto nella spiritualità quanto nell’arte. La semplicità del gesto – un uomo che parla agli uccelli – nasconde una profondità teologica, antropologica e, come si intende dimostrare in questo contributo, anche una rilevanza sociologica sorprendente.
Se è vero che San Francesco si rivolge alle creature come fratelli e sorelle, è altrettanto vero che la scelta di rivolgersi a tre specie distinte di uccelli (rondini, tortore, passeri), secondo una consolidata iconografia e interpretazione allegorica, rivela una intenzione comunicativa universale e inclusiva, capace di parlare a tutte le condizioni sociali e spirituali dell’umanità medievale.
Un gesto liturgico e cosmico: la parola che include
Il gesto di Francesco, narrato nella Compilatio Assisiensis (§58) e nella Legenda Maior (VIII, 11), non è semplicemente un aneddoto edificante, ma si configura come un atto liturgico, una predicazione che assume la creazione intera come assemblea orante. Nella prospettiva bonaventuriana, ciò che muove Francesco non è l’eccentricità, ma la piena conformazione a Cristo povero e crocifisso, colui che riconcilia “le cose del cielo e quelle della terra” (Col 1,20).
Gli uccelli, nella loro diversità, non sono spettatori ma interlocutori. È l’eco della fraternitas universalis che, lungi dall’essere un’utopia poetica, si radica nella visione escatologica del Cantico: ogni creatura è soggetto vocazionale, chiamata a lodare il Creatore.
Tre specie, tre classi: lettura sociologica di una predicazione universale
La rappresentazione di Francesco che predica a rondini, tortore e passeri – specie ricorrenti nell’iconografia medievale e rinascimentale – può essere letta come una trasposizione simbolica delle tre condizioni umane e sociali dell’epoca:
- Le rondini, uccelli migratori, instancabili e comunitari, rappresentano coloro che sono in movimento, le classi emergenti del tempo: mercanti, pellegrini, viatores, artigiani, nuovi cittadini. Francesco si rivolge a chi abita le soglie della trasformazione sociale, i ceti intermedi del nascente dinamismo urbano.
- Le tortore, miti e silenziose, rimandano alla vita religiosa contemplativa, alla castità, alla fedeltà. Sono il simbolo della Chiesa regolare, dei monaci e delle monache, ma anche di coloro che vivono il Vangelo in forma appartata. Francesco, pur non appartenendo a un ordine monastico, stabilisce con loro un dialogo che supera la distinzione tra azione e contemplazione.
- I passeri, piccoli, comuni, trascurabili, sono l’immagine della moltitudine contadina, dei poveri, dei servi della gleba, degli ultimi. È a loro che il santo dedica la sua più profonda adesione: vivere sine proprio, al margine del potere, in solidarietà radicale con i poveri di Dio.
La scelta delle tre specie non è quindi zoologica, ma politico-spirituale. Francesco annuncia che tutti possono ascoltare e lodare Dio, ciascuno secondo la propria condizione. Una predicazione che scardina l’ordine sociale piramidale, rivelando la possibilità di un ordine nuovo: quello del Regno.
La parola che restituisce dignità
Nel predicare agli uccelli, Francesco compie un atto teologico di restituzione della parola a chi ne è privo o a chi ne è stato privato. In questo senso, gli uccelli sono icone di umanità negata, di soggettività non riconosciute.
In un’epoca in cui il linguaggio era dominio delle élite – nobili, chierici, dottori – Francesco rivolge la parola evangelicaai non umani, ma parlando in realtà a tutto ciò che l’umano esclude o marginalizza: poveri, illetterati, lebbrosi, animali, creature naturali.
È un’azione performativa di giustizia, che anticipa e fonda la spiritualità della Laudato si’: la cura del creato non è semplicemente ecologia ambientale, ma ecologia integrale, riconoscimento della dignità intrinseca di ogni essere, nel suo legame con Dio e con gli altri.
Implicazioni per l’oggi: la predicazione come prassi liberante
Nel contesto attuale, segnato da nuove marginalità, disuguaglianze crescenti e una visione tecnocratica del creato e dell’umano, l’esempio di San Francesco interpella profondamente la teologia e la pastorale.
- Le rondini odierne sono i migranti, i lavoratori globalizzati, gli esclusi della mobilità economica.
- Le tortore sono i silenziati dalla spiritualità performativa, gli invisibili della preghiera nascosta.
- I passeri sono gli scartati, i senza voce del nostro tempo, vittime delle crisi ambientali, sociali e spirituali.
Francesco ci insegna a parlare con loro e a loro, e soprattutto a lasciare che parlino, che diventino protagonisti della lode, della speranza e della trasformazione.
Predicare agli uccelli, per San Francesco, non è un esercizio poetico, ma una rivelazione ecclesiologica. È la Chiesa che si fa sorella, che si spoglia del potere per entrare nella fraternità con ogni creatura. È l’uomo nuovo che abbandona il dominio per servire la vita. È il Vangelo che si fa carne nella tenerezza, nel rispetto e nella parola condivisa.
Nel tempo del disincanto e della disgregazione, il gesto del poverello d’Assisi rimane profezia viva, segno di un’evangelizzazione che si nutre di contemplazione, giustizia e riconoscimento della dignità universale.
0 commenti