Missione esplorativa in Libano

Il carattere identitario e distintivo dei Frati Francescani dell’Immacolata è rappresentato dal Voto Mariano.

Esso comporta l’obbligo, sia morale che giuridico, di permanente disponibilità anche alle missioni più difficili per il regno di Dio sulla terra”.[1]

Seguendo l’ispirazione e l’esempio martirale di san Massimiliano M. Kolbe, i Frati professano di poter essere mandati in terra di missione anche ad gentes.

La regione del mondo dove attualmente i cristiani vivono in condizioni difficili e quindi bisognosi di assistenza spirituale è il Medio Oriente.

In controtendenza all’esodo dei nostri correligionari e in risposta agli inviti della Chiesa e alle attenzioni di Papa Francesco verso le antichissime Chiese levantine, la nostra famiglia religiosa raccoglie la sfida di una sua presenza in Medio Oriente.

Grazie alla collaborazione del novello diacono Fra Charbel M. Boustany australiano-libanese, battezzato nel rito maronita, ho effettuato una missione esplorativa in Libano che rappresenta sicuramente la piattaforma più interessante da dove inaugurare il nuovo progetto.

La terra dei Fenici è custode di antica civiltà e di una consolidata presenza di cristiani di riti orientali.

Come in tutti i popoli arabi l’ospitalità è sacra e rappresenta il punto di partenza per essere accolti e acquisire l’esperienza necessaria da estendere nella regione.

Esistono concrete possibilità di inserimento anche in Irak, al centro delle cronache di questi giorni per il braccio di ferro tra il Governo e il patriarca caldeo Louis Sako.

Dall’11 al 17 luglio ho quindi incontrato importanti autorità del Libano a partire dal Patriarca maronita Bechara Boutros Rai. 

Sua Beatitudine parteciperà da vicino ai lavori del Sinodo dei Vescovi a Roma e guarda con interesse a una nostra presenza, specie per l’assistenza spirituale ai numerosi immigrati asiatici e africani.

Nel frattempo, in uno scenario globale che vede la crescita demografica delle due più importanti religioni monoteiste del mondo, il cristianesimo e l’islam, è imprescindibile una reciproca e più approfondita conoscenza.

È dalla conoscenza che si sviluppa un dialogo onesto e costruttivo, garante di pace e di collaborazione pur nelle diverse credenze e cultura.

La riflessione magisteriale della Chiesa, che ha prodotto recentemente l’enciclica Fratelli tutti, è un messaggio di speranza per la pace nel mondo e lo sviluppo dei popoli.

Fino al mio ingresso in aeroporto per il rientro, ho incontrato teologi sunniti e famiglie sciite di cui posso testimoniare una sincera apertura al dialogo insieme ad uno spontaneo rispetto nei miei confronti.

Durante il viaggio ho letto e meditato le testimonianze dei Monaci di Tibhirine e di Padre Paolo Dall’Oglio.

Mi hanno molto aiutato a capire come una Chiesa in cammino sui sentieri del Levante, dove Gesù ha mosso i primi passi, ci porti ad alimentare la gioia della ricerca e dell’incontro con Dio in tutte le cose.

Il brulichio delle credenze esprime l’amore polisemico, polimorfo e plurale di Dio per gli uomini.

Il pregiudizio ignorante e poco religioso ci porta invece a innalzare barricate e fabbricare nemici.

Il futuro progetto missionario va programmato e preparato bene ed è per questo che due dei nostri confratelli si qualificheranno al Pontificio Istituto di Studi Arabi e di dialogo con l’Islam diretto dai Padri Bianchi.

Fare di un Mediterraneo allargato un Lago di Tiberiade è sicuramente un progetto impegnativo e coraggioso.

Esso è degno dell’epopea iniziale della storia del nostro istituto.

La comunità primitiva fondazionale infatti costruì quelle periferie di cui oggi si raccolgono i frutti nelle vocazioni ed opere piantate dai primi missionari dell’Immacolata.


[1] Cf. Costituzioni FI n. 45.

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